“I miei piedi nascono come piccoli krapfen golosi di passi e di sogni. Un po’ goffi forse, un po’ tentennanti… non amano correre e saltare come la maggior parte dei piedi di bimbo. Esplorano, camminano, osservano… giocano ad afferrare gli oggetti come piccole manine… ecco, piccoli piedi-krapfen osservatori e riflessivi! Fino a quel giorno in cui dalla finestrella del sottoscala fuori dal’ingresso dell’asilo vedono le prime bimbe allenarsi alla sbarra e li scoprono il loro lato farfalla! Il loro desiderio di andare! Piccoli piedi-krapfen desiderosi di danzare, con un cuore de
ntro, con la gioia della liberta! Ecco ci provano, spesso troppo grandi, inadeguati, un po’ maldestri, ma sempre attenti: piccoli – ormai grandi – piedi krapfen che sognano ali di farfalla…
Ecco, ormai giovani adulti incontrano la gioia di muoversi, di respirare, di attingere alla gioia vera, quella che si incontra ballando sulla sabbia fresca della sera d’estate. Ed eccoli lì, piccoli piedi krapfen ormai cresciuti scoprono l’autentica libertà di farfalla: quella della gioia di essere cosi, come sono! Piedi scalzi e leggeri, desiderosi di esplorare ed annusare il mondo dalla loro prospettiva terrena e sognante al tempo stesso”.
(“La Storia dei miei piedi”, Martina Wlady Savani, Aprile 2016. Workshop di Medicina Narrativa e Scrittura Autobiografica presso il CRO Aviano)
Sono nata in una famiglia come ce ne sono tante. Fatta di uomini e donne con le loro difficoltà, che si ereditano di generazione in generazione. Di genitori che cercano di porre rimedio, con i propri figli, agli errori fatti dalle generazioni precedenti. Del poco tempo per sé. Dei soldi che vanno e che vengono, ma soprattutto vanno e lasciano poco spazio a sonni tranquilli. Delle malattie che parlano dei disagi dell’anima, dell’Amore che poco (e non sempre) resiste ai colpi della Vita. Dei colpi di testa che a volte sembrano l’unica soluzione possibile e a volte, lo diventano davvero!
Da ragazzina credevo che avrei, non solo potuto, ma anche dovuto porre rimedio a tutto questo e credevo di poterlo fare in un solo modo: STUDIANDO, OSSERVANDO, TROVANDO SEMPRE LA COSA “GIUSTA DA FARE”, imparando ad essere, sempre educata, gentile, rispettosa e composta.
Crescendo ho capito che questo non sarebbe bastato e che anzi, a volte non sempre la gentilezza giocava a mio favore, che il rispetto a volta veniva preso per subordinazione e che ancora, in molti casi vige la legge di chi grida più forte.
Ho scoperto che non basta studiare e conoscere ma che soprattutto, non esiste una sola cosa giusta da fare ma “la cosa adatta” a ciascuno di noi in base ai nostri bisogni, alle nostre credenze, ai tratti caratteriali e a una moltitudine di variabili invisibili agli occhi e fuori dalla portata del cervello razionale.
Ho fatto dello studio la mia “copertina di Linus”, ma ho scoperto che la vera conoscenza è ciò che resta delle cose che hai studiato, ricercato e scoperto, quando oramai te ne sei in buona parte dimenticato e hai impastato il sapere con l’esperienza, il dolore e le gioie inattese e ne hai fatto qualcosa di molto simile alla comprensione che si radica in ogni cellula e all’interno delle ossa.
Mentre studiavo con efferata disciplina all’età del liceo pedagogico sociale ho acquisito una grande abilità mnemonica, di correlazione delle informazioni ma soprattutto, di sacrificio; in quel frangente, ciò che più ho imparato è stata l’abilità di sopprimere anche la stanchezza e la fame per amore della conoscenza e degli obiettivi, che allora mi prefiggevo.
Ai tempi della laurea in Biotecnologie orientate alla Creazione d’Impresa ho imparato l’umiltà, l’infinita necessità di porsi da “analfabeta” davanti alla realtà per apprendere ogni variabile, osservare, prendere atto e farne tesoro. Ho compreso anche che la Scienza, per quanto esatta, è fatta dagli uomini e per gli uomini che come tali, colgono solo le variabili che possono vedere piuttosto che la realtà nella sua globalità.
Grazie al percorso di laurea in Psicologia ho nutrito la mia mente attraverso gli schemi e ciò che molti fino a quel momento avevano osservato, scoperto, sperimentato in relazione alla mente umana, ai comportamenti ed alle relazioni, ma anche allora si rese per me evidente che” il laboratorio non è la realtà” ed è sempre l’osservatore a “definire” l’esperimento.
Proprio allora ho desistito dalla ricerca dell’inopinabile, dell’assoluto e del reale ed ho iniziato a dedicarmi al mondo con gli occhi di una bimba in un prato: ho sciolto dentro di me la scissione fra scientifico ed empirico, fra reale e leggendario, fra vero e falso e mi sono abbandonata alla scoperta del mondo umano in ogni sfaccettatura per me possibile. Lì ho incontrato la Naturopatia, intesa come lo studio ed il rispetto dell’uomo secondo la sua natura alla ricerca del suo “individualissimo, unico e speciale” equilibrio, allo studio dei caratteri secondo l’antico approccio dell’Enneagramma, dell’Etica, alla Meditazione, al respiro, ai simboli dell’Astrologia e delle indicazioni preziose che può fornire quotidianamente a ciascuno di noi, fino ad abbandonarmi al riposo della mente andando incontro alla saggezza del corpo attraverso Nia® Technique che fonde sulle note della musica antiche discipline quali la danza, lo yoga e le arti marziali.
È stato poi durante gli studi della laurea magistrale in Psicologia che ho riesumato ogni aspetto già visto con occhi nuovi verso una visione globale piuttosto che frammentata e settoriale fra le pagine di ogni libro e nelle classi elementari, dove ho condotto i laboratori per bambini sulla scoperta delle “Qualità Positive” per Amore di un approccio relazionale e costruttivo, anziché giudicante e performativo.
Oggi rimango ad occhi spalancati ad osservare la realtà con stupore e meraviglia grazie all’attitudine che mio figlio, il più grande maestro ch’io abbia incontrato, mi sta insegnando. Senza schemi né preconcetti, osservo ciò che accade fuori e lo fondo con l’ascolto di me, in attesa di sentire, imparare, capire e comprendere ancora, ancora e ancora…